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Creare inferni o paradisi, in Terra?
La qualità della nostra vita dipende da noi, la qualità delle nostre relazioni dipende da noi, la qualità del nostro mondo dipende da noi. Lo sappiamo? Ci stiamo attrezzando per usare consapevolmente il nostro potere personale… al servizio della vita?
Ci siamo definiti, con fare altisonante, sapiens. E non solo, addirittura sapiens sapiens. Il proposito è buono, ma la strada è ancora lunga. Al momento siamo ancora alla fase di homo agens, animale umano – è così che la biologia ufficiale già da 30anni ci definisce – “che agisce” sulla Terra; il più vulnerabile, con la prole più inetta, incapace di provvedere a se stesso se lasciato solo in natura, eppure il più adattabile, il più versatile, il più capace di modificare l’ambiente in base ai suoi bisogni e desideri.

Siamo bravissimi a modificare la realtà. Esterna. Spinti dalla smania di agire, spesso mettiamo in atto questi interventi attivi senza fermarci a pensare, a sentire, a percepire. Con l’effetto di perdere di vista le implicazioni, le conseguenze, a breve e lungo termine, delle azioni a cui ci stiamo dedicando.

Altro che sapiens… il nostro pensiero occidentale urbano dominante sembra non avere idea delle connessioni che intercorrono tra le cose del mondo, le persone nel mondo, le cose e le persone tra loro. Ognuno pensa che ci sarà qualcun altro che raccoglierà il suo sacchetto di plastica caduto a terra, che l’automobilista appena insultato tornerà a casa redento dal malcostume non mettere la freccia per girare, che il figliolo apostrofato “stupido” per tutta l’infanzia crescerà sicuro di sé e brillante nella vita, che il sopruso taciuto e negato da una parte non verrà reiterato e riproposto altrove. Poco siamo consapevoli delle implicazioni e conseguenze del nostro agire. O non agire.

Viviamo nella totale ignoranza del nostro ruolo nel creare inferni o paradisi in Terra, della nostra capacità di plasmare il mondo attorno a noi anche con piccole cose: riproponendo vecchie credenze o portando un pensiero innovativo; con uno sgarbo o con un sorriso, che a sua volta innescherà una nuova spirale o sofferenza o di gioia.
Pur con tanta presunta sapienza erogata ogni momento, con diversi mezzi di comunicazione, a qualsiasi osservatore attento del mondo in cui viviamo, sembriamo mancare anche di comprensioni elementari, già sancite da filosofi degli albori della filosofia occidentale: “Tutto scorre”, tutto cambia, tutto cresce e si modifica. Non possiamo continuare a fare la stessa cosa, guardare il mondo con gli stessi occhiali, avere lo stesso ruolo, portare gli stessi pesi, credere di essere gli stessi per tutta la vita… cambiamo noi, cambia il mondo attorno a noi, cambia la relazione tra noi e il mondo.

E’ qui che entra in gioco la differenza tra diventare creatori di inferni o creatori di paradisi. Viviamo la realtà come un inferno quando non ci rendiamo conto di chi siamo, di cosa abbiamo bisogno – davvero – che cosa ci piace e che cosa invece non ci piace, o non ci piace più, e perpetuiamo comportamenti, atteggiamenti e strategie che non tengono conto di questi parametri. Inevitabilmente, ci troviamo in situazioni che non ci soddisfano, senza renderci conto che abbiamo noi stessi contribuito, con le nostre azioni o le nostre mancate azioni, a creare quella realtà. Spesso questo succede quando non ci siamo mai neppure chiesti “quale realtà” vogliamo.
Riconosciamo nella realtà un paradiso, quando invece non ci perdiamo nel flusso della vita e delle induzioni ricevute dall’esterno, ma sappiamo entrare in contatto col nostro sentire, pensare e volere e calibriamo il nostro comportamento e il nostro agire coerentemente con una intenzione profondamente nostra e attuale. Il paradosso è che a volte un creatore di paradiso vive situazioni che potrebbero sembrare peggiori, viste da altri punti di vista, ma sa dar loro un senso, coltivando l’impagabile sensazione di essere protagonista e non spettatore, aggiungendo quindi un sapore inebriante alla propria vita, capace di accogliere il cambiamento non come perdita, ma come occasione di nuove scoperte.

Siamo parte di un processo iniziato 3 miliardi di anni fa. Siamo parte integrate della vita nel suo incedere su questa Terra, per il momento, il nostro destino è indissolubilmente connesso a quello di questo pianeta e di tutto la complessa rete della biosfera. Non abbiamo sempre avuto i telefoni cellulari e i dentifrici sbiancanti, e il nostro più grande problema non sarà sempre quello del trovare parcheggio vicino al ristorante o di ricaricare il cellulare in un treno senza presa elettriche. E se ci preoccupiamo soltanto di quelle cose che altri ci hanno convinto essere davvero quelle importanti, se non ci chiediamo neppure cosa vogliamo fare della nostra vita, cosa ne sarà di quella dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, a chi lasciamo il potere di decidere per loro? Perché il futuro si costruisce con le scelte di oggi, con la consapevolezza del proprio potere, con l’impegno a metterle in atto.
Se non diventiamo consapevoli non solo di tutto quello che possiamo fare, ma di tutto quello che stiamo già facendo… abdicheremo il nostro potere personale e saremo artefici inconsapevoli del nostro stesso – e anche altrui – destino, che questo ci piaccia o no.

La trasformazione concreta della nostra realtà comincia quindi dall’intenzione. Comincia allenando il muscolo della presenza a se stessi, coltivando la capacità di contattare la sorgente del nostro stesso essere – là dove nasce e si manifesta l’intenzione – imparando, sempre più spesso, a “centrarci”. L’invadente tendenza del nostro cervello di automatizzare reazioni in base all’esperienza passata può essere utilizzata a nostro vantaggio, creandoci volontariamente un nuovo utile automatismo.
Centrarsi vuol dire fermare per un attimo – bastano pochi minuti, anche pochi secondi – l’incessante e automatico impulso agens, la spinta all’azione, che spesso diventa “reazione” e viene pure contrabbandata come spontaneità. Centrarsi vuol dire predisporsi a contattare il momento presente, fuori e dentro di noi, prestare attenzione alla realtà così come la percepiamo in questo istante, non come abbiamo imparato a etichettarla, e vuol dire spostare consapevolmente la propria attenzione all’interno e porsi qualche domanda:

  1. Come sto?
    Cosa provo fisicamente? Quali emozioni sono ora presenti? Dove sono i miei pensieri in questo momento?
  2. Cosa voglio per me in questo momento?
    In relazione al preciso contesto o situazione in cui mi trovo.
  3. Quello che voglio è ecologico? Arreca beneficio a me stesso e/o ad altri?
    Se non è ecologico, se in qualche modo non si inserisce funzionalmente nella situazione in cui mi trovo è perché non ho davvero contattato il mio presente, ma solo il passato – automatismi e abitudini – o il futuro – desideri, aspettative senza aver investito l’impegno corrispondente – . Allora mi focalizzo sul presente e riformulo ciò che voglio in modo che sia coerente sia con la mia intenzione che col contesto nel quale si inserisce.
  4. Cosa posso fare, ora, per realizzarlo?
    Identifico un piccolo gesto, atteggiamento, parola che posso mettere in atto da subito per innescar il meccanismo che può indirizzare la situazione nella direzione auspicata.

Questo percorso è il punto di partenza per cambiare il mondo, partendo da sé, dal riconoscere e mettere in atto il proprio potere personale non solo alla ricerca di un proprio vantaggio immediato, ma alla ricerca di gioie ben più profonde e durature, quelle che derivano dal sentire di essere parte di un processo ampio, dinamico in continua evoluzione e trasformazione con la soddisfazione di sentire di avere dato un tocco personale al futuro in costruzione. E’ davvero così! Diamo continuamente carezze, calci spintoni alla realtà e permettiamo che essa faccia altrettanto con noi, ma invece di una lotta questo scambio può trasformarsi in una danza in uno scambio creativo e costruttivo tra noi e gli altri, tra noi e il mondo tra noi e la vita.

Più avanti vedremo come ampliare il processo di co-creazione al riconoscimento del potere collettivo .- uh, immenso! – ma prima dobbiamo fare pratica con quello personale.

Se non io, chi per me?
Se non ora, quando?
E, se solo per me, chi sono io?

Rabbi Hillel 70 a.C. - 10 d.C
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