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Antiche visioni per nuove azioni
L’apertura nei confronti di altre culture caratterizza l’ecopsicologia e permette di riscoprire e rivalutare tradizioni lontane, nel tempo e nello spazio, per il loro atteggiamento nei confronti della vita e del mondo naturale.
La cultura dei nativi americani, considerata con sufficienza sinoa pochi decenni fa, viene oggi riscoperta come cultura di straordinaria profondità, intrisa di grande rispetto per la natura e per la vita stessa. Una profezia annunciava che dopo sette generazioni, la tradizione del popolo rosso sarebbe risorta e avrebbe aiutato lo stesso uomo bianco a risanare i problemi causati dal suo scriteriato atteggiamento nei confronti dell’ambiente naturale, e non solo quello.

Oggi questo sta avvenendo. Una letteratura di sempre maggior diffusione sta recuperando messaggi antichi eppure attualissimi, e le conoscenze sciamaniche, tramandate di padre in figlio, in questo secolo vengono ora sistematizzate e insegnate alle generazioni contemporanee, non solo ai giovani pellerossa ma a persone di tutto il mondo interessate agli insegnamenti di quelli che nei film di solo una decina di anni fa era spregiativamente definiti stregoni, e che oggi vengono riconosciuti come sciamani.

Sciamano è l’intermediario tra la terra e il cielo, tra l’umano e il divino, è una figura presente nelle tradizioni di diverse parti del mondo, non solo in nord america. E’ presente tra gli indios del centro e sud america, nelle steppe del nord Europa, della Siberia, della Mongolia, e tra gli aborigeni australiani.

E’ il custode di una scienza e conoscenza molto antica che egli sperimenta sulla sua pelle, abbandonando i sentieri convenzionali per mettersi al servizio della sua società in quanto conoscitore delle leggi che regolano la vita e quindi in grado di curare le malattie, di propiziare la caccia o l’attività agricola.

Lo sciamano ha una visione olistica della realtà, conosce il linguaggio del mondo, legge la sorte nelle forme delle nubi, nel disporsi di sassolini colorati nel cavo della mano, nelle visceri di piccoli animali sacrificati, nel percorso tracciato dal volo degli uccelli. Possono farci sorridere queste pratiche, sorridere benevolmente davanti al “buon selvaggio”, ma la legge della sincronicità e la valorizzazione del linguaggio analogico sono alcune delle scoperte più recenti della nostra “intellighenzia” contemporanea.

L’invito delle tradizioni sciamaniche di tutto il mondo è quello di riconoscere nel corpo il tempio dello spirito che alberga dentro di noi, relativizzando il protagonismo di una mente che crede di essere l’unica funzione psichica veramente valida e degna di fede, ed è quello di riconoscere i profondi legami che ci rendono parte del mondo in cui viviamo, per vederci in relazione con gli altri e con tutto il creato e non come esseri anonimi e insignificanti, staccati da qualsiasi contesto. Concetti che non possono non indurre ad accettare un dialogo e uno scambio di opinioni.

«L’idea condivisa dagli stregoni — ha detto Castaneda in un intervista negli anni ’90 — è che siamo seppelliti dall’educazione impostaci dalla società, ingannati nel percepire il mondo come un posto di solidi intenti e cose definitive. Noi andiamo incontro alla nostra sepoltura rifiutando di considerarci esseri “magici”: il nostro ordine del giorno è di servire l’ego anziché lo spirito. Prima di rendercene conto la battaglia è terminata e noi moriamo squallidamente incatenati all’io. La Libertà è libera, non la si può comprare o capire».
Carlos Castaneda è un etnologo americano che, nel corso di una ricerca sulle piante medicinali del Messico, è entrato in contatto con don Juan, un indio yaqui, in realtà un incomparabile stregone, un brontolone che scelse come apprendista il giovane studente facendone un veicolo di diffusione dei suoi insegnamenti. L’opera di Castaneda, nove libri scritti nell’arco di poco meno di trent’anni, è stato infatti uno dei principali contributi alla conoscenza della cultura sciamanica, diffusa non in modo didascalico, ma esperienziale.

I messaggi che colpiscono al cuore sono infatti quelli vissuti sulla propria pelle e raccontati quando ancora l’emozione è così viva da trasparire tra le righe. E’ così che Marlo Morgan, un’assistente sociale americana che ha ideato e realizzato in Australia un progetto di reinserimento sociale di giovani aborigeni, nel celebre E venne chiamata due cuori si è fatta portavoce del messaggio della Vera Gente, come si definiscono gli aborigeni australiani, rivelando aspetti della loro cultura sinora sconosciuti al grande pubblico. Questo popolo è un discendente degli uomini che da più a lungo abitano la Terra. E’ un popolo che ha imparato a convivere con la natura nel più totale rispetto e armonia, un popolo che a dispetto del disprezzo e dell’incomprensione che hanno caratterizzato il suo rapporto con l’uomo cosiddetto civilizzato, è espressione vivente delle potenzialità più alte a cui può aspirare l’essere umano nella sua evoluzione.

“Incontri” come questi stanno contribuendo a incrinare il mito della cultura occidentale come l’unica e vera cultura mai esistita, e stanno permettendo di sviluppare un atteggiamento di maggior umiltà, ma anche maggior ricettività, nei confronti di una quantità incredibile di esperienze e informazioni prima trascurate per riformulare una nuova, più completa, immagine di ciò che siamo come individui e come esseri umani, abitanti di questo bel pianeta verde e azzurro.
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