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Dall’ecopsicologia, nuove idee per l’economia
Se vogliamo vivere e prosperare sulla Terra, come Homo Sapiens, dobbiamo sinergizzare le attività della nostra economia con le leggi dell’ecosistema di cui siamo parte, attenti alla qualità di vita e all’evoluzione di tutto il pianeta.
Dopo i sempre più evidenti fallimenti di una visione meccanicistica della realtà e di una gestione delle risorse e dei mercati secondo leggi fisiche e matematiche, l’economia comincia a a riscoprire la sua etimologia, la sua vocazione originaria: studio delle leggi dell’ambiente (oikos= casa, ambiente; nomos = regola, legge).

La negazione dell’evidenza che il pianeta Terra è un semplice oggetto, ma un sistema di funzioni di regolazione grazie alle quali la vita ha avuto origine e si è sviluppata, ha portato alla diffusione di visioni distorte e dannose a tutto il sistema. La confusione tra “crescita” e “sviluppo” è la stessa che, in un organismo umano, genera cellule in grande quantità senza preoccuparsi delle conseguenze su altri elementi del sistema. In medicina, questo fenomeno, si chiama tumore.

Lawrence Lessing - docente di legge alla Stanford University e fondatore dei Creative Commons – nel commentare su Newsweek l’inadeguatezza dei soli tecnocrati e ingegneri finanziari al controllo dell’economia mondiale, ha affermato: “L’economia non è una macchina, è un corpo vivente”.

E come tale va studiato e compreso. In un sistema tutto è interconnesso e una gestione delle risorse focalizzata solo sui obiettivi di pochi, senza prendere in considerazione i limiti e le necessità del sistema nel suo insieme, oppure solo su bisogni presenti, senza prendere in considerazione quelli delle generazioni future, contiene in sé i germi di uno squilibrio che non promette nulla di buono.

La visione sistemica applicata all’economia è ancora giovane, ma in rapida espansione su diversi fronti e con molteplici apporti; con termini forse diversi, ma con un unico obiettivo: trovare modi nuovi per affrontare la contemporanea crisi economica/ambientale – due fattori estremamente connessi – non solo in termini di pratiche e strategie, ma soprattutto di visione: del mondo e del nostro ruolo di “sapiens” nel mondo.

Una visiona più ampia dell’essere umano e del contesto in cui la nostra esistenza e la nostra azione si inseriscono è fornita dall’ecopsicologia. Frutto dell’incontro tra ecologia profonda, psicologia umanistica, Teoria di Gaia (come è recentemente stata rinominata Ipotesi Gaia di Lovelock) e visione sistemica ed evolutiva della vita, l’ecopsicologia riconosce l’importanza dell’essere umano nell’ecosistema Terra, intendendolo come “punta di diamante” del processo evolutivo sul pianeta, come sistema nervoso della “Terra- organismo vivente”, un sistema nervoso composto da cellule ancora inconsapevoli della loro importanza, del loro potere creativo e della loro responsabilità.

Senza nulla togliere, con questa metafora organicistica, al libero arbitrio del singolo individuo, uno degli impegni dell’ecopsicologia è quello di accompagnare in un percorso di crescita personale atto a far prendere coscienza dei ben più vasti orizzonti a disposizione di ognuno di noi. Siamo tutti “molto più” di quanto pensiamo di essere di quanto ci è stato detto che siamo. Siamo “di più” come individui – con molte potenzialità, capacità e possibilità spesso non prese in considerazione – e siamo “di più” come homo sapiens, né padroni né parassiti di questo bel pianeta ma, in quanto dotati di autocoscienza, responsabili di tutta la creazione.

L’autocoscienza è proprio l’attuale più avanzata frontiera evolutiva, nostra e del pianeta. Ampliando gli orizzonti conoscitivi ed esperienziali della nostra natura individuale, arriviamo a “toccare con mano” un livello di identità più vasto, quello che il sociologo francese Edgar Morin chiama coscienza planetaria, la consapevolezza di essere parte di un sistema, di un ecosistema, ancora più ampio nel cui ambito giochiamo però un ruolo fondamentale. Quando capiamo questa nostra connessione più profonda con la vita ogni attività ritrova un orientamento etico e sostenibile, non per “dovere”, ma per “sentire ritrovato”, sentire che siamo tutti parte di sistemi via via più ampi - coppia, famiglia, azienda, città, nazione, pianeta e poi oltre - in cui abbiamo un ruolo, abbiamo un margine di azione che dipende solo da noi e che possiamo orientare verso il bene comune solo quando ci risvegliamo a un livello più ampio di identità, riappropriandoci di tutto il potere, la dignità e la bellezza del nostro vero essere, della nostra più grande ricchezza: la coscienza.
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