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Anche i cani hanno un’anima
La storia di Samir, la storia di una comunicazione da anima ad anima.
Circa quattro anni fa, nel cortile della mia casa di campagna sull’Appennino parmense, un cane bastardino, vagamente Russel Terrier, s’infilò sotto al cruscotto passeggero dell’auto pronta a partire. L’intruso color “mucca” non ne volle sapere di scendere e anzi mordicchiò la mano che il vicino di casa azzardò nell’intento di tirarlo fuori. La sua fu una scelta perentoria, una di quelle decisioni che nascono dall’istinto di sopravvivenza e dal superamento delle proprie paure, tanto più che fino ad allora tutte le sue visite erano state tanto fugaci e prudenti da impedirci anche solo l’avvicinamento. Quella sera di fine anno però, Lucky, probabilmente ispirato dalla dea Fortuna, si risolse a trovare nuovi padroni e a cambiare vita. E così fu. Lo portammo quindi a casa nostra a Fidenza dove in meno che non si dica entrò in possesso di spazi che, per un cane di montagna mezzo abbandonato in una vecchia stalla lasciata semi aperta, saranno apparsi di lusso.

Quella stessa notte la mia compagna ebbe un sogno in cui il nostro ospite le compariva e diceva: “Non mi chiamo Lucky, mi chiamo Samir!”. Quel sogno fu breve ma straordinariamente reale per la mia compagna la cui attenzione si concentrò naturalmente sulla parola “Samir” che, da una breve indagine, risultò essere il nome di un anti-infiammatorio per le vie del fegato e del pancreas usato in passato anche come antidepressivo. L’interpretazione legata alla nuova presenza che avrebbe agito come tonificante dell’umore convinse entrambi. Tanto più che Lucky si mostrò subito particolarmente affettuoso e socievole con i suoi padroni. Diciamo che pur non avendo facoltà di parola, questa non gli mancava di certo.

Dopo quattro meravigliosi anni passati assieme, Lucky incominciò a vomitare in modo preoccupante. Veramente, gli era già capitato altre volte di vomitare, ma solo sporadicamente e quasi sempre dopo avere rosicchiato ossa, cibo ch’egli sembrava gradire particolarmente. Il disturbo fece allora pensare ad un problema di allergia alimentare o/e ad una fragilità di stomaco e quindi non ci fece preoccupare più di tanto. Ora però la situazione era repentinamente peggiorata. Lucky fu portato dal veterinario, il quale dopo un primo esame e un trattamento a base di iniezioni, ci prescrisse un farmaco: il Samyr! Fu per noi l’inizio di una tragedia famigliare fatta di ansia, incertezze ed infine fiumi di lacrime. Il quadro clinico del piccolo principino, soprannominato “Pitolo” (per gli intimi), peggiorò e il veterinario dovette ricorrere alla via chirurgica. L’operazione sembrò riuscire. Il Pitolo si svegliò dall’anestesia, gli esami oggettivi migliorarono… finché dopo circa una settimana ricominciò a vomitare e dopo un paio di giorni spirò nelle braccia della sua serva/padrona. Il sottoscritto non fu presente in quanto impegnato in un convegno lontano da casa. La tragica notizia mi giunse per l’ora di cena. Mi ritrovai presto solo nella più totale disperazione in camera d’albergo. Non avevo potuto dare al mio Lucky l’estremo saluto. Percepii un immenso bisogno di colmare questa lacuna e fra un mare di lacrime, nel buio della stanza, d’un tratto una farfalla si mise a lampeggiare compiendo evoluzioni lenti e silenziose lungo il soffitto. In quell’istante percepii l’anima del mio cagnolino venuta a rendermi visita nel corpo di una improbabile lucciola di fine Novembre. Riuscimmo a comunicare e lei mi disse di non preoccuparmi perché dov’era ora vedeva tutto ed era consapevole del mio amore.

La mattina mi svegliai con gli occhi ancora umidi e senza più traccia dell’insetto. Assistetti al seminario su “Anima e inconscio” tenuto da Gabriele La Porta, il quale ricordò al pubblico che in greco psyché significa sia “anima” che “farfalla”. Poco prima di concludere, il relatore si rivolse a me chiedendo se alla fine tutte le anime non fossero una sola. Credo che quella lucciola novembrina possa fungere da risposta. L’anima di quella farfalla fu anche quella di Lucky, la mia e quella di tutti coloro che ascoltarono il racconto. Che l’”anima” della quale parlavano gli antichi sapienti e il concetto di “campo” o “matrice” dei fisici moderni siano interpretazioni di una stessa realtà che supera il nostro intendimento e alla quale capita di accedere solo in circostanze straordinarie e di brevissima durata? E se, al di là dei nostri pregiudizi e limiti culturali l’animismo non fosse una concezione ingenua e prescientifica, ma derivasse in realtà da una psiche ancora in grado di riavvicinarsi alla percezione di quella realtà più originaria ed essenziale?

Fidenza il 30 Novembre 2009
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